Ricorso  della  Regione  autonoma  della  Sardegna  (cod.   fisc.
80002870923) con sede legale in 09123 Cagliari (CA), viale Trento, n.
69, in persona del Presidente  pro  tempore  dott.  Ugo  Cappellacci,
rappresentata e difesa. giusta procura a margine del  presente  atto,
dagli  avv.ti  Tiziana  Ledda  (cod.  fisc.   LDDTZN52T59B354Q,   fax
0706062418,          posta          elettronica           certificata
tledda@pec.regione.sardegna.it) e prof. Massimo Luciani  (cod.  fisc.
LCNMSM52L23H501G;  fax  0690236029;  posta  elettronica   certificata
massimoluciani@ordineavvocatiroma.org),   elettivamente   domiciliata
presso lo Studio del secondo in  00153  Roma,  Lungotevere  Raffaello
Sanzio, n. 9, contro il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri,  in
persona  del   Presidente   pro   tempore,   per   la   dichiarazione
dell'illegittimita' costituzionale della l. 16 ottobre 2012, n.  182,
recante «Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello  Stato  e
dei bilanci delle Amministrazioni  autonome  per  l'anno  finanziario
2012», pubblicata in G.U. n. 251 del 26 ottobre 2012 - Suppl. Ord. n.
198, nella parte in cui, pur variando il bilancio di  previsione  per
l'anno finanziario 2012, approvato con l. 12 novembre 2011,  n.  184,
disponendo stanziamenti in favore della Regione Autonoma Sardegna per
ulteriori  € 1.383.000.000,00,  non  provvede  all'adeguamento  della
capacita' di spesa della stessa Regione Autonoma della  Sardegna,  in
corrispondenza dell'aumentato livello delle entrate. 
 
                                Fatto 
 
    1. La presente controversia si inserisce in un filone ben noto  a
codesta Ecc.ma Corte costituzionale e insorge a valle della revisione
dell'art. 8 della l. cost. n. 3 del 1948, recante  «Statuto  speciale
per  la  Sardegna».  In  quell'articolo  e'  definito  il  regime  di
compartecipazione alle entrate erariali che assicura alla Regione  le
risorse  che  ne  garantiscono  la  speciale  autonomia   finanziaria
attribuita dal precedente art. 7 dello Statuto. 
    L'art.  8  dello  Statuto,  nella  sua  formulazione  originaria,
disponeva che le entrate della Regione fossero costituite: «dai  nove
decimi  del  gettito  delle  imposte  erariali  sui  terreni  e   sui
fabbricati situati nel territorio della Regione  e  dell'imposta  sui
redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio; dai  nove
decimi dell'imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della
Regione; dai nove decimi del gettito  delle  tasse  di  bollo,  sulla
manomorta,  in  surrogazione  del  registro  e   del   bollo,   sulle
concessioni governative,  dell'imposta  ipotecaria,  dell'imposta  di
fabbricazione  del  gas  e  dell'energia  elettrica,   percette   nel
territorio  della  Regione;  dai  nove  decimi  della  quota  fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai  prodotti  dei  monopoli
del tabacchi consumati  nella  Regione;  da  una  quota  dell'imposta
generale sull'entrata  di  competenza  dello  Stato,  riscossa  nella
Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario
d'accordo fra  lo  Stato  e  la  Regione,  in  relazione  alle  spese
necessarie ad adempiere le funzioni normali della Regione; dai canoni
per le concessioni idroelettriche; dai contributi di miglioria  ed  a
spese per opere determinate, da imposte e  tasse  sul  turismo  e  da
altri tributi propri, che la Regione ha  facolta'  di  istituire  con
legge, in armonia coi principi del sistema tributario dello Stato; da
redditi patrimoniali; da  contributi  straordinari  dello  Stato  per
particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie». 
    Il sistema di compartecipazione alle entrate  erariali  e'  stato
modificato una prima volta dall'art. 1 della l. n. 122 del  1983.  In
virtu' della citata novella, le risorse  della  Sardegna  risultarono
costituite 
      «a) dai sette decimi del  gettito  delle  imposte  sul  reddito
delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse
nel territorio della regione; 
      b) dai nove decimi del gettito  delle  imposte  sul  bollo,  di
registro, ipotecarie, sul  consumo  dell'energia  elettrica  e  delle
tasse sulle concessioni governative  percette  nel  territorio  della
regione; 
      c)  dai  cinque  decimi  delle  imposte  sulle  successioni   e
donazioni riscosse nel territorio della regione; 
      d) dai sette decimi del gettito delle ritenute  alla  fonte  di
cui all'art. 23  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
settembre 1973, n. 600, operate da imprese industriali e  commerciali
che hanno la sede centrale nella regione [...]; 
      e) dai nove decimi dell'imposta di  fabbricazione  su  tutti  i
prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione; 
      f) dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di
consumo relativa ai prodotti  dei  monopoli  dei  tabacchi  consumati
nella regione; 
      g) da una quota dell'imposta sul valore aggiunto  riscossa  nel
territorio della regione [...] da  determinarsi  preventivamente  per
ciascun anno finanziario d'intesa fra  lo  Stato  e  la  regione,  in
relazione alle spese necessarie  ad  adempiere  le  funzioni  normali
della regione; 
      h) dai canoni per le concessioni idroelettriche; 
      i) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che
la regione ha facolta' di  istituire  con  legge  in  armonia  con  i
principi del sistema tributario dello Stato; 
      l) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e  dal  proprio
demanio; 
      m) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani
di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria». 
    Tale  riforma  ben  presto   si   rivelava   non   risolutiva   e
insufficiente a  finanziare  le  funzioni  pubbliche  assegnate  alla
Regione  in  rapporto  all'evoluzione   complessiva   della   realta'
economico-finanziaria  del  Paese.  Di  questo  e'  testimonianza  il
carteggio intervenuto proprio tra il Ragioniere Generale dello  Stato
e  la  medesima  Regione  tra  l'agosto  e  il  settembre  del  2005,
relativamente alla misura delle entrate di maggiore rilevanza per  le
finanze regionali: la compartecipazione all'imposta sul reddito e  la
compartecipazione all'I.V.A. 
    Con nota del 3 agosto  2005,  prot.  n.  0102482,  il  Ragioniere
Generale  rappresentava  di   aver   presentato   una   proposta   di
quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A.  «nell'attesa
che  si  proceda  alla  revisione  dell'ordinamento  finanziario  che
consenta  di  trasformare  la  compartecipazione  I.V.A.   da   quota
variabile a quota fissa», e che tale proposta era  stata  predisposta
«abbandonando [...] il criterio incrementale del tasso di  inflazione
che, comportando nel tempo la  progressiva  svalutazione  in  termini
reali del cespite regionale, ha di  fatto  svilito  lo  strumento  di
garanzia  previsto  dallo  Statuto,  che  mirava  a   consentire   il
tempestivo  adeguamento  delle  entrate   regionali   alle   mutevoli
necessita'  di  spesa  derivanti  dall'espletamento  delle   funzioni
normali della Regione». Con nota  del  2  settembre  2005,  prot.  n.
0112371, ancora il Ragioniere Generale rappresentava che «il  gettito
IRPEF regionale [...]  registra  una  crescita,  nell'arco  temporale
considerato [1991-20031, pari all'1,9%, avallando, pertanto, la  tesi
della Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale  rispetto  a
quello nazionale». 
    Proprio in considerazione della palese insufficienza  del  quadro
finanziario delle entrate regionali, riconosciuta espressamente dalla
Ragioneria Generale  dello  Stato,  si  e'  addivenuti  alla  seconda
modifica dell'art. 8 dello Statuto,  intervenuta,  come  si  e'  gia'
accennato, con l'art. 1, comma 834, della 1. n. 296 del 2006, con cui
- fra l'altro - si e' aggiunto il canale di finanziamento relativo ai
«sette decimi di tutte le  entrate  erariali,  dirette  o  indirette,
comunque denominate, ad eccezione di quelle  di  spettanza  di  altri
enti pubblici» e - per l'appunto in  coerenza  con  i  rilievi  sopra
riportati - si e' introdotta  la  quota  fissa  di  compartecipazione
all'I.V.A. maturata  nella  Regione  Sardegna  (v.,  rispettivamente,
lett. m) e f) dell'art. 8, comma 1, nella formulazione vigente). 
    Nella sua attuale formulazione, dunque, l'art.  8  dello  Statuto
dispone che "le entrate della regione sono costituite: 
      a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle
persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche  riscosse  nel
territorio della regione; 
      b) dai nove decimi del gettito  delle  imposte  sul  bollo,  di
registro, ipotecarie, sul  consumo  dell'energia  elettrica  e  delle
tasse nelle concessioni governative  percette  nel  territorio  della
regione; 
      c)  dai  cinque  decimi  delle  imposte  sulle  successioni   e
donazioni riscosse nel territorio della regione; 
      d) dai nove decimi dell'imposta di  fabbricazione  su  tutti  i
prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione; 
      e) dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di
consumo relativa ai prodotti  dei  monopoli  dei  tabacchi  consumati
nella regione; 
      f) dai nove decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto
generata sul territorio  regionale  da  determinare  sulla  base  dei
consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall'ISTAT; 
      g) dai canoni per le concessioni idroelettriche; 
      h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che
la regione ha facolta' di  istituire  con  legge  in  armonia  con  i
principi del sistema tributario dello Stato; 
      i) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e  dal  proprio
demanio; 
      l) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani
di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria; 
      m) dai sette decimi di tutte le  entrate  erariali,  dirette  o
indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle  di  spettanza
di altri enti pubblici». 
    2. Nel quadro dell'autonomia finanziaria garantita dallo  Statuto
che e' disegnato  dal  regime  delle  compartecipazioni  erariali  si
inserisce il c.d. patto di stabilita'. Come  e'  noto,  il  patto  di
stabilita' e' il meccanismo di  governo  della  finanza  regionale  e
degli enti territoriali disegnato dal legislatore statale al fine  di
coniugare la tutela dell'autonomia finanziaria della  Regione  e  (in
diverso  grado)  degli  enti  locali,  con  il  conseguimento   degli
obiettivi di finanza  pubblica  della  Repubblica  in  tutte  le  sue
articolazioni istituzionali. 
    2.1) Il procedimento per il  raggiungimento  dell'intesa  per  il
patto di stabilita' interno tra lo  Stato  e  le  Regioni  a  statuto
speciale e' previsto dall'art. 32, commi 11 sgg., della 1. n. 183 del
2011 (c.d. legge di stabilita' per il 2012). 
    In particolare, il menzionato art. 32 prevede  che  «al  fine  di
assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, le regioni
a statuto speciale, escluse  la  regione  Trentino-Alto  Adige  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano,  concordano,  entro  il  31
dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia  e
delle finanze, per ciascuno degli anni 2012, 2013  e  successivi,  il
livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonche'
dei  relativi  pagamenti,   determinato   riducendo   gli   obiettivi
programmatici del 2011  della  somma  degli  importi  indicati  dalla
tabella di cui al comma 10. A tale fine,  entro  il  30  novembre  di
ciascun  anno  precedente,  il  presidente  dell'ente  trasmette   la
proposta di accordo al Ministro dell'economia e  delle  finanze.  Con
riferimento all'esercizio 2012, il presidente dell'ente trasmette  la
proposta di accordo entro il 31 marzo 2012» (comma 11) e che «al fine
di assicurare il concorso agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  la
regione Trentino-Alto Adige e le province autonome  di  Trento  e  di
Bolzano concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno  precedente,
con il Ministro dell'economia e delle  finanze,  per  ciascuno  degli
anni 2012, 2013 e successivi, il  saldo  programmatico  calcolato  in
termini  di  competenza  mista,  determinato  migliorando  il   saldo
programmatico dell'esercizio 2011 della somma degli importi  indicati
dalla tabella di cui al comma 10. A tale fine, entro il  30  novembre
di ciascun anno precedente,  il  presidente  dell'ente  trasmette  la
proposta di accordo al Ministro dell'economia e  delle  finanze.  Con
riferimento all'esercizio 2012, il presidente dell'ente trasmette  la
proposta di accordo entro il 31 marzo 2012» (comma 12). 
    Come si evince anche a prima lettura, il meccanismo del patto  di
stabilita' si fonda sul principio dell'accordo tra  eguali,  mediante
il quale la Regione esercita la propria autonomia  finanziaria  e  lo
Stato garantisce il conseguimento degli obiettivi generali di finanza
pubblica. 
    2.2) In particolare, l'accordo si fonda su due diverse intese. 
    Una e' disciplinata dal comma 12 dell'art. 32 della l. n. 183 del
2011 ed e' relativa al c.d. «saldo programmatico», ossia (in  sintesi
estrema)  alla  differenza  tra  entrate  e  uscite  della   Regione,
calcolata sia in termini di cassa che in termini  di  competenza.  Il
saldo, poi, e' «migliorato» (per lo Stato, eppercio' «peggiorato»,  a
ben vedere,  per  la  Regione)  con  l'applicazione  delle  quote  di
partecipazione alla finanza pubblica, ossia dei maggiori risparmi che
il legislatore statale puo' temporaneamente imporre alle Regioni  per
conseguire un particolare obiettivo economico nazionale. 
    L'altra e' disciplinata al comma 11 dell'art. 32 della I. n.  183
del 2011. Essa ha ad  oggetto  il  livello  complessivo  delle  spese
correnti e in conto capitale e dei relativi pagamenti.  In  tal  modo
gli Enti territoriali (nel caso in oggetto si tratta  delle  Regioni,
ma il medesimo sistema vale anche per province e  comuni)  concordano
con lo Stato di limitare la spesa complessiva anche ove  sussista  la
relativa  copertura  finanziaria,  nonche'  di  limitare   la   somma
complessiva dei pagamenti, anche per impegni di spesa gia' assunti  e
liquidati, sebbene siano disponibili in cassa le relative risorse. 
    3. Onde dare applicazione all'art. 32 della l. n. 183  del  2011,
la Regione Autonoma della Sardegna ha trasmesso una (prima)  proposta
di accordo con la Nota 28 marzo 2012, prot. n. 440/GAB, a  firma  del
Vicepresidente della Regione e inviata alla Ragioneria Generale dello
Stato. 
    Tale  Nota  recava  i  seguenti  rilievi,  che,   per   comodita'
dell'Ecc.mo Collegio, si riportano: «gli impegni ammissibili ai  fini
del  patto  risultano  inadeguati   al   sostenimento   degli   oneri
statutariamente assegnati alla Regione, dall'altro  si  impedisce  di
far fronte a quegli oneri fissando per i pagamenti un limite  di  700
milioni inferiore al livello degli impegni. Tali  problematiche  sono
rese ancora  piu'  drammatiche  dai  tagli  che  le  recenti  manovre
ministeriali hanno operato sul gia' basso livello di spesa  assegnato
alla  Regione  (di  fatto  bloccato  ai  livelli  del  1995)  che  ha
determinato l'impossibilita' di porre in  essere  efficaci  politiche
regionali di sviluppo e di alleviare la  forte  crisi  economica  che
attraversa il territorio regionale [...]. Gia' in passato la Regione,
in  virtu'  delle  maggiori  entrate  garantite  dal   nuovo   regime
finanziario regionale, ha ripetutamente richiesto l'innalzamento  dei
tetti di  spesa  (ancora  irragionevolmente  ancorato  al  previgente
regime finanziario) cui codesto Ministero ha sempre  contrapposto  un
diniego. Il mancato accoglimento delle richieste ministeriali produce
effetti molto gravi: oltre che svilire  la  portata  della  revisione
statutaria operata attraverso la modifica dell'art. 8 dello  Statuto,
obbliga la Sardegna, Regione fra le piu' colpite dalla crisi e con un
PIL pro capite inferiore alla media nazionale, a  dei  sacrifici,  in
termini di risparmi, a valere sulle proprie entrate,  che  non  hanno
eguali in nessun altra Regione italiana». 
    Cio' considerato, la Regione chiedeva «che dal corrente esercizio
si stipuli un nuovo di Patto di stabilita'», basato «sul criterio del
saldo finanziario programmatico calcolato in  termini  di  competenza
mista, dato dalla differenza tra accertamenti ed impegni formali  per
la parte corrente e dalla differenza tra incassi e pagamenti  per  la
parte in conto capitale,  al  netto  delle  entrate  derivanti  dalla
riscossione di crediti e dalle spese derivanti dalla  concessione  di
crediti. Si propone che l'obiettivo di saldo programmatico  2012  sia
pari a zero». 
    3.1) Lo  Stato  rimaneva  silente  dinanzi  alla  proposta  cosi'
formulata dalla Regione, la quale, di conseguenza, la  precisava  con
la Nota del Presidente della Regione dell'8  giugno  2012,  prot.  n.
4034. Ivi, permesso che «una prima  proposta  di  accordo»  risultava
«non ancora riscontrata» dal Ministero,  si  dava  conto  del  mutato
contesto giuridico, derivante  dall'approvazione  della  legge  della
Regione Sardegna n. 6 del 2012 nonche' dalla pronuncia della  Sezione
regionale per la Sardegna della  Corte  dei  conti  sul  giudizio  di
parificazione del rendiconto finanziario della Regione  Sardegna  per
l'anno  2011  e  si  ribadiva  che  «il  livello  delle   devoluzioni
corrisposto alla Regione Sardegna negli  anni  2010  e  2011  non  e'
risultato corrispondente alle modifiche statutarie, ne' tanto meno si
e' provveduto a prevedere e a autorizzare l'innalzamento del tetto di
spesa  regionale  rilevante  ai  fini  del  rispetto  del  patto   di
stabilita', la perdurante mancata equiparazione dei  tetti  di  spesa
rilevanti per il patto di stabilita, alla nuova capacita' finanziaria
dell'Amministrazione regionale e il connesso mancato adeguamento  del
livello delle devoluzioni alla nuova disciplina delle  entrate  della
Regione Autonoma, hanno comportato un notevole  aumento  dei  residui
attivi e dei  residui  passivi  che  hanno  oramai  raggiunto  limiti
insostenibili». 
    Cio' considerato, la Regione  sollecitava  «nuovamente  l'urgente
trasmissione dei «Fabbisogni Definitivi» della Regione per  gli  anni
2010 e 2011« (che consistono nello schema delle risorse che lo Stato,
in attuazione del regime finanziario previsto  dallo  Statuto  sardo,
deve stanziare per finanziare il  regime  di  compartecipazione  alle
entrate  della  Regione:  si  verseranno  in  atti  gli  schemi   dei
fabbisogni provvisori per gli anni 2010 e 2011, nei quali,  peraltro,
a quanto consta a questa difesa,  le  spettanze  regionali  risultano
rilevantemente inferiori  al  dovuto)  e  chiedeva  (incidentalmente)
l'innalzamento delle somme  corrisposte  mensilmente  dallo  Stato  a
titolo di acconto  sulle  quote  di  compartecipazione  regionale  ai
tributi erariali. 
    In particolare, poi, la Regione chiedeva che, «ai fini del  patto
di stabilita', il limite massimo dei pagamenti venga innalzato almeno
a Quello degli impegni». 
    Evidenziava la Nota che «la richiesta di adeguamento del patto di
stabilita',  frutto  del  massimo  senso  di  responsabilita'  e   di
attenzione al difficile quadro della finanza pubblica e  ispirate  al
ripristino del principio di equita', risulta rispettosa  delle  nuove
disposizioni statutarie». Si aggiungeva che l'adeguamento  del  patto
di stabilita' e' finalizzato ad «eliminare le evidenti anomalie e  le
gravi penalizzazioni  sorte  nel  preesistente  regime  finanziario»,
sicche' «occorre che lo  Stato  adegui,  nella  misura  minima  sopra
descritta, le devoluzioni regionali, assicurando un livello di  spesa
(e  in  particolare  dei  pagamenti  regionali)  corrispondente  alle
effettive  esigenze  del  territorio,  peraltro  gia'  implicitamente
riconosciuto dal  legislatore  nazionale  proprio  con  la  revisione
dell'articolo 8 dello Statuto». 
    Si precisava, infine, che questa seconda Nota era «da  intendersi
anche come nuova proposta di accordo per il patto di  stabilita'  per
l'esercizio 2012». 
    3.2) Il Ministero riscontrava infine le  proposte  della  Regione
con la Nota 17 luglio 2012,  prot.  n.  0054891,  avente  ad  oggetto
«Patto di stabilita' interno per l'anno 2012. Proposta di accordo per
la Regione Sardegna». 
    In essa si prendeva atto del fatto che la «Regione ha evidenziato
il mancato ampliamento della propria capacita'  di  spesa  al  mutato
livello di entrate riconosciute dal nuovo ordinamento finanziario  e,
nel  manifestare  la  propria   disponibilita'   a   partecipare   al
risanamento dei conti pubblici ed  a  contribuire  agli  obblighi  di
solidarieta', ha chiesto un adeguamento del patto di stabilita'». 
    A questo proposito  la  Ragioneria  generale  dello  Stato,  «pur
comprendendo le esigenze di  codesta  Regione  di  trasfondere  sulla
propria potenzialita' di spesa la piena entrata a  regime  del  nuovo
ordinamento finanziario», riteneva che «tale richiesta  necessita  di
un intervento legislativo  volto  ad  individuare  la  corrispondente
compensazione finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento
netto». Pertanto, «in assenza di  una  disposizione  legislativa  che
preveda misure compensative a favore di  codesta  Regione»  lo  Stato
osservava che, «a livello tecnico, non sussist[o]no  margini  per  un
ampliamento del tetto dei pagamenti». 
    Il Ministero, inoltre, respingeva  anche  «la  proposta  iniziale
formulata dalla Regione», volta a definire «l'accordo per il Patto di
stabilita'  interno   con   il   criterio   del   saldo   finanziario
programmatico calcolato in termini di competenza mista»  e  intesa  a
fissare di porre l'obiettivo  di  saldo  programmatico  2012  pari  a
zero»,  in  quanto  tale  proposta,  ad  avviso  del  Ministero,  non
risulterebbe «coerente con l'articolo 32, comma 11,  della  legge  n.
183/2011, che prevede espressamente il riferimento al complesso delle
spese per la definizione del concorso alla manovra  delle  regioni  a
statuto speciale» perche' «il patto  per  saldi  dovrebbe,  comunque,
essere definito in modo da garantire invarianza in termini di finanza
pubblica e, quindi, una  generica  proposta  di  obiettivo  di  saldo
programmatico 2012 pari a zero non puo' essere  assentita  senza  una
preventiva verifica degli effetti sui saldi di finanza pubblica». 
    Precisava  poi  il  Ministero  che,  «a   legislazione   vigente,
l'obiettivo programmatico per l'anno 2012 [per la  Regione  Sardegna]
dovrebbe essere definito nell'importo di 3.313 milioni in termini  di
competenza e nell'importo di 2.627 milioni in termini di cassa,  pari
all'obiettivo  programmatico  concordato  con  codesta  Regione   per
l'esercizio 2011 in 3.788 milioni in termini di competenza e in 3.102
milioni  in  termini   di   cassa   ridotto   dell'importo   indicato
dall'articolo  32,  comma  10,  della  legge  n.  183/2011   (314,234
milioni), nonche' dell'importo  derivante  dalle  altre  disposizioni
citate (160,657 milioni)». 
    Tutto cio' considerato, il Ministero esortava «la Regione a voler
rivedere la propria proposta  di  accordo,  corredata  della  tabella
riepilogativa che 13 evidenzi i limiti di spesa  sia  in  termini  di
competenza che di  cassa,  in  coerenza  con  le  disposizioni  sopra
richiamate». 
    3.3) La Regione Sardegna ha impugnato la Nota ora  descritta  con
ricorso al TAR della Sardegna, rubricato al R.  Ric.  n.  914/2012  e
tuttora pendente (l'udienza di trattazione del merito e' fissata  per
il 6 febbraio 2013). 
    In tale  ricorso  la  Regione,  fra  l'altro,  ha  contestato  la
necessita' di un'ulteriore  intermediazione  legislativa  onde  poter
finalmente addivenire all'adeguamento delle  potenzialita'  di  spesa
alle disponibilita' regionali, disponibilita' che - e' bene ribadirlo
- sono aumentate perche' tanto era richiesto dalle oggettive  (e  non
contestate dallo Stato) esigenze della Regione  di  far  fronte  agli
impegni e di soddisfare i diritti dei cittadini sardi. 
    3.4) Dopo che  il  menzionato  ricorso  era  stato  notificato  e
depositato, il giorno prima della camera di consiglio alla quale  era
chiamato per la trattazione della domanda di sospensione  (in  quella
sede, poi, riunita al merito), con Nota 11 dicembre  2012,  prot.  n.
4879/2012/Uff.X,  il  Ministero  dell'Economia   e   delle   Finanze,
«acquisito [...] il parere degli uffici di diretta collaborazione del
Ministro», ha comunicato alla ricorrente «la piena disponibilita'»  a
fornire i «dati definitivi relativi alle quote  di  compartecipazione
ai tributi erariali spettanti alla  Regione  Sardegna  ai  sensi  del
novellato articolo 8 dello Statuto di autonomia per gli anni  2010  e
seguenti»,  pero'  «non  appena  lo  schema  di   decreto   delegato,
contenente le disposizioni attuative dei predetto articolo 8  risulti
iscritto all'ordine del giorno del  Consiglio  dei  Ministri  per  la
deliberazione».  Si  evidenziava,   dunque,   nuovamente,   l'intento
dilatorio del Ministero,  teso  addirittura  a  negare  alla  Regione
Sardegna la conoscenza  dei  dati  utili  alla  definizione  del  suo
bilancio. 
    3.5) Infine, con  la  legge  qui  censurata,  il  legislatore  ha
adottato disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato per
l'anno finanziario  2012,  che  era  stato  approvato  con  legge  12
novembre 2011, n.  184,  introducendo  «le  variazioni  di  cui  alle
annesse  tabelle»  (cosi'  l'art.  1  della  legge   impugnata).   In
particolare,  nella  prima  tabella,  relativa  all'assestamento  del
bilancio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, e' indicata  la
voce  contrassegnata  dal  codice  n.  2.3.,  Programma  «Regolazioni
contabili ed altri trasferimenti  alle  Regioni  a  statuto  speciale
(3.5.)». Ivi si  effettua  una  variazione  sia  alla  previsione  di
competenza    sia    all'autorizzazione    di    cassa,    aumentando
rispettivamente  gli  stanziamenti  di  € 1.914.835.111,00  e  di   €
1.763.337.437,00. 
    Le some destinate alla Regione Sardegna risultano  dalla  tabella
allegata al d.d.l. di assestamento, voce codice 2790, punto n. 2, CP.
Come  si  evince  sia  dalla  relazione  governativa  al  d.d.l.   di
assestamento di bilancio 2012 che dai lavori parlamentari, si  tratta
di versamenti per «1.383 milioni di euro  alla  regione  Sardegna  al
fine di attribuire  alla  medesima  le  entrate  previste  dal  nuovo
ordinamento finanziario» (cosi', testualmente, l'allegato tecnico  al
d.d.l. di assestamento di bilancio 2012), disposti -  appunto  -  «al
fine di  adeguare  il  regime  di  compartecipazione  erariale  della
Regione al nuovo ordinamento finanziario  e  di  funzioni  attribuite
alla Regione Sardegna, regime stabilito dalla legge  finanziaria  296
del 2006»  (cosi'  la  Relazione  dell'On.  Calvisi,  relatore  nella
Commissione V della Camera dei  deputati,  seduta  di  mercoledi'  12
settembre 2012). 
    Pur  avendo  stanziato  le  somme  necessarie  a  dare   completa
esecuzione all'art. 8 dello Statuto  regionale,  la  legge  nulla  ha
previsto circa l'adeguamento del livello delle spese e dei  pagamenti
che la Regione Sardegna puo' effettuare. 
    La legge di cui in epigrafe lede le  attribuzioni  costituzionali
della  ricorrente  e  deve   essere   dichiarata   costituzionalmente
illegittima, in parte qua, per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    Premessa.  Preliminarmente,  per  la  migliore  definizione   del
contenuto del presente gravame, si deve osservare che,  in  tutte  le
competenti sedi giurisdizionali, la Regione Autonoma  della  Sardegna
(hinc inde: anche Regione o Sardegna)  ha  costantemente  negato  che
l'esecuzione  del  novellato  art.  8  dello  Statuto  di   autonomia
richiedesse una qualsivoglia intermediazione legislativa, sia che  la
fonte idonea alla bisogna fosse ritenuta un comune atto con forza  di
legge, sia che fosse ritenuta un decreto legislativo recante norme di
attuazione dello stesso Statuto. 
    Questa posizione appare  confortata  da  precise  statuizioni  di
codesta Ecc.ma Corte costituzionale. In particolare, con la sent.  n.
99 del 2012, codesta Ecc.ma Corte costituzionale, adita  dallo  Stato
per veder dichiarata l'illegittimita' dell'art. 3 della L reg. n.  12
del 2011 (con la quale  era  stato  previsto  che  la  Regione  possa
procedere all'accertamento delle poste in attivo di bilancio ai sensi
dell'art. 8 dello Statuto nella formulazione vigente),  ha  affermato
che non  vi  era  una  «sufficiente  motivazione»  a  sostegno  della
necessita' (asserita dallo Stato, come si e' detto) che il nuovo art.
8 dello Statuto, per produrre i propri effetti al fine di determinare
«la quota di tributi da trasferire  alla  Regione  in  riferimento  a
ciascuna compartecipazione», debba essere attuato con la  particolare
procedura per l'approvazione dei decreti legislativi di attuazione. 
    Cio' significa, in primo  luogo,  che  la  Regione  Sardegna,  al
momento di predisporre il  proprio  bilancio  previsionale,  puo'  (e
deve) immediatamente fare affidamento  sulle  entrate  derivanti  dal
nuovo art. 8; in secondo luogo, che lo Stato, nella gestione (in  via
amministrativa e in via legislativa) dei rapporti finanziari  con  la
ricorrente, deve osservare le previsioni, immediatamente applicabili,
dell'art. 8 dello Statuto. 
    Nondimeno, pur a fronte  dell'evidente  correttezza  dell'assunto
regionale, lo Stato ha, altrettanto costantemente, affermato  che  in
carenza di un'intermediazione  legislativa  l'esecuzione  del  citato
art. 8, novellato, dello Statuto non sia possibile  e  che,  inoltre,
non sia possibile nemmeno  l'adeguamento  della  capacita'  di  spesa
della Regione alle maggiori disponibilita'  finanziarie  riconosciute
dall'art. 1, comma 834, della 1. n.  296  del  2006,  modificativo  -
appunto -  dell'art.  8  dello  Statuto.  Dagli  atti  menzionati  in
narrativa, anzi, si evince, piu' in particolare,  che  per  lo  Stato
l'intermediazione legislativa e' necessaria: 
      a) addirittura per la semplice determinazione dei dati relativi
alle quote di compartecipazione ai tributi  erariali  spettanti  alla
Regione (cosi' la Nota 11 dicembre 2012, prot. n. 4879/2012/Uff.X); 
      b) per il concreto conferimento delle relative somme (cosi'  la
Nota 17 luglio 2012, prot. n. 0054891); 
      c) per l'adeguamento della capacita'  di  spesa  della  Regione
alle maggiori disponibilita' in entrata derivanti dall'esecuzione del
novellato art. 8 dello Statuto (cosi ancora la Nota 17  luglio  2012,
prot. n. 0054891). 
    Ora, la strumentalita' della posizione  assunta  dallo  Stato  e'
evidente. Lo dimostra, a tacer d'altro, l'evidente contraddizione fra
la Nota 11 dicembre 2012, prot. n. 4879/2012/Uff X  e  la  legge  qui
impugnata. Nella Nota, infatti, si afferma che la determinazione  dei
dati relativi alle quote di  compartecipazione  ai  tributi  erariali
spettanti alla Regione sara'  possibile  solo  una  volta  che  siano
approvate, con l'apposito decreto legislativo,  specifiche  norme  di
attuazione dello Statuto. La legge impugnata, invece, che - si  badi!
- precede la Nota di  circa  un  mese  e  mezzo,  afferma,  sia  pure
implicitamente,  esattamente  il  contrario,   poiche'   provvede   a
stanziare un  somma  precisa  (€ 1.383.000.000,00,  come  da  tabella
allegata al d.d.l. di assestamento, voce codice 2790, punto n. 2, CP)
in favore della  Regione  proprio  al  fine  di  dare  esecuzione  al
novellato art.  8  dello  Statuto.  Come  si  legge  nella  relazione
governativa di accompagnamento al disegno di legge, i «1.383  milioni
di euro [sono stanziati in bilancio a favore della] regione  Sardegna
al fine di attribuire alla medesima le  entrate  previste  dal  nuovo
ordinamento finanziario». Il tutto, dunque, senza bisogno  alcuno  di
norme di attuazione statutaria. 
    Ebbene: a fronte del pervicace rifiuto da parte  dello  Stato  di
collaborare con la Regione in sede di  confronto  tecnico,  opponendo
costantemente il preteso ostacolo dell'assenza di una previa norma di
legge, la Regione Sardegna si vede  ora  costretta  ad  impugnare  la
legge in epigrafe, come quella che, potendo e dovendo, proprio  nella
prospettiva  assunta  dallo  Stato,  dare  seguito  legislativo  allo
Statuto novellato, ha omesso di dettare la previsione piu' importante
e sostanziale, stabilendo che la capacita' di spesa della Regione  e'
aumentata in corrispondenza delle maggiori disponibilita' in  entrata
riconosciute con il menzionato stanziamento in bilancio. 
    Che questa  dovesse  essere  (sempre  nella  stessa  prospettiva,
assunta dallo Stato, della  necessaria  intermediazione  legislativa)
l'opportuna sede normativa per procedere in tal senso  lo  si  desume
dal  fatto  che,  dovendo   essere   rispettato   il   principio   di
corrispondenza fra entrate e spese iscritte in bilancio  (cosi  Corte
cost., sent. n. 118 del  2012),  l'aumento  delle  disponibilita'  in
entrata avrebbe dovuto trovare  corrispondenza  -  appunto  -  in  un
parallelo aumento della capacita' di spesa. Poiche'  e'  nella  legge
impugnata  che   le   maggiori   disponibilita'   in   entrata   sono
riconosciute, e' nella legge impugnata  che  avrebbe  dovuto  trovare
riconoscimento anche la maggiore disponibilita' in uscita. 
    Non varrebbe obiettare che  la  legge  impugnata,  finalizzata  a
provvedere  all'assestamento  del  bilancio  dello   Stato,   sarebbe
inidonea alla bisogna, in quanto legge meramente formale. E'  agevole
replicare, infatti, che, anche ove  si  ritenesse  che  la  legge  di
bilancio sia da considerare meramente formale (sul che -  e'  noto  -
v'e' divisione in dottrina), la diversa legge di assestamento e'  una
legge  come  tutte  le  altre,  non  tipizzata  dall'art.  81   della
Costituzione (nel testo anteriore alla  novella  del  2012,  qui  non
applicabile, in forza dell'art. 6 della  l.  cost.  n.  1  del  2012,
ratione temporis) e quindi, come tutte le comuni leggi,  facoltizzata
a contenere le piu' diverse previsioni sostanziali. Del resto, che le
cose stiano esattamente in questo senso lo dimostra proprio la stessa
legge  impugnata,  che,  all'art.  4,  stabilendo  che  «Le   risorse
finanziarie iscritte nei fondi per il finanziamento  di  assegni  una
tantum in favore del personale delle Forze  armate,  delle  Forze  di
polizia  e  del  Corpo  nazionale  dei  vigili  del  fuoco   di   cui
all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.
78, convertito, con modificazioni, dalla legge  30  luglio  2010,  n.
122, sono ripartite con decreti del Ministro competente»,  disciplina
le modalita' di assegnazione e ripartizione di  alcune  risorse,  con
cio' solo impingendo nel dominio della regolazione  sostanziale,  che
trascende quello della mera indicazione dei «numeri» da  iscrivere  a
bilancio. 
    Cio' premesso, e' ora possibile allegare gli specifici motivi  di
ricorso. 
    1. Violazione del principio di ragionevolezza e del principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 della
1. cost. n. 3 del 1948, recante «Statuto speciale per  la  Sardegna»,
degli artt.  2,  3,  5,  117  e  119  della  Costituzione,  anche  in
riferimento  al  principio  della  ragionevole  temporaneita'   delle
limitazioni all'autonomia finanziaria delle Regioni.  Come  ricordato
in narrativa, l'art. 8 dello Statuto della Regione Sardegna, e' stato
novellato dall'art. 1, comma 834, della l. n. 296 del  2006.  Risulta
dal citato carteggio del 2005 tra la Ragioneria generale dello  Stato
e la Regione, che l'aumento delle entrate che ne  e'  conseguito  non
intende certo soddisfare un capriccioso desiderio  della  Regione  di
avere  a  disposizione  risorse  maggiori,  ma  e'  stato  la  logica
conseguenza della necessita' di adeguare il quadro finanziario a  tre
dati. 
    Anzitutto, al conferimento alla Regione Sardegna di una serie  di
attribuzioni  (in  materia   di   trasporti,   sanita',   continuita'
territoriale) del cui costo  lo  Stato  si  e'  sgravato,  gravandone
dunque  la  Regione  che  -  evidentemente  -  non   avrebbe   potuto
esercitarle in carenza di adeguate risorse economiche. 
    In   secondo   luogo,   alla   mutata    realta'    sociale    ed
economico-finanziaria di riferimento. Nel corso degli  anni,  invero,
come e' naturale, l'onere economico  derivante  dall'esercizio  delle
funzioni conferite alla Regione, a partire da quelle conferite in via
esclusiva dall'art. 3 dello Statuto, si e'  fatto  piu'  consistente,
anche a causa dell'esigenza di garantire standard sempre piu' elevati
di qualita' dei servizi pubblici e del generale  aumento  dei  costi.
Anche la gia' ricordata Nota  del  3  agosto  2005  della  Ragioneria
Generale dello Stato lo ha constatato, prendendo atto delle «mutevoli
necessita'  di  spesa  derivanti  dall'espletamento  delle   funzioni
normali  della  Regione»  (si  badi:  normali,  sicche'  non  e'  qui
questione del rapporto tra funzioni  «nuove»  e  loro  copertura  con
risorse altrettanto «nuove»!). 
    Da ultimo  (ma  non  per  ultimo)  all'impellente  necessita'  di
rimediare alle gravi cd evidenti anomalie  applicative,  riconosciute
dalla  stessa  Ragioneria  Generale  dello  Stato,  determinate   dal
precedente regime finanziario. Si Fa ancora riferimento al  carteggio
tra la ricorrente e la Ragioneria Generale  dello  Stato  dell'estate
2005. Ivi il Ministero ha preso atto di un «anomalo trend  dell'IRPEF
regionale rispetto  a  quello  nazionale»  nei  trienni  1991-1993  e
1996-1998 e di una «progressiva svalutazione  in  termini  reali  del
cespite regionale» relativo alla compartecipazione  I.V.A. E'  facile
comprendere  come  le  anomalie  applicative  del  previgente  regime
finanziario abbiano indebitamente compresso le  entrate  regionali  e
come questa compressione, a sua volta. abbia determinato un  indebita
riduzione della capacita'  di  spesa,  posto  che  (data  la  mancala
esecuzione finte le della riforma dell'art. dello Statuto,  anche  in
termini di innalzamento della capacita' di  spesa)  la  capacita'  di
spesa ancora oggi riconosciuta alla Regione fa  riferimento  all'anno
2005. Quando la l.  n.  296  del  2006,  novellando  lo  Statuto,  ha
modificato il quadro finanziario aumentando  le  entrate  disponibili
per la Regione Sardegna, pertanto, non ha fatto altro che adeguare il
quadro delle entrate alle necessita'  delle  spese  e  correggere  le
gravi  distorsioni  applicative   che   avevano   caratterizzato   il
precedente regime finanziario e che avevano di fatto contraddetto  il
senso  stesso  del  sistema   di   compartecipazione   alle   entrate
tributarie,  secondo  il  quale   le   entrate   regionali   dovevano
fisiologicamente crescere al crescere del gettito tributario. 
    E' chiaro, dunque, che i fondi inseriti nel bilancio dello  Stato
con la legge gravata sono  tutti  preordinati  allo  svolgimento,  da
parte della  Regione  ricorrente,  delle  funzioni  pubbliche  e  dei
servizi (anche essenziali, come quelli  sanitari)  assegnatile  dalla
Costituzione (artt. 117 e 119 Cost.), dallo Statuto (artt. 3, 4 e 5),
dalle leggi dello Stato (per tutte valga il riferimento ai commi  836
gg. dell'art. 1 della 1. n. 296  del  2006,  che  hanno  operato  gli
ultimi - in ordine di tempo - trasferimenti di funzioni a carico  del
bilancio regionale). 
    E'  del  tutto  evidente,  conseguentemente,   che   il   mancato
adeguamento della possibilita' di spesa della  Regione  non  solo  ne
limita l'autonomia finanziaria (tutelata dagli artt. 7 dello  Statuto
e 119 Cost.), ma ha come immediata conseguenza la lesione dei diritti
dei cittadini residenti in Sardegna (garantiti dall'art. 2  Cost.)  e
la  violazione  del  principio  del  loro  eguale  trattamento  quale
cittadini dello Stato (art. 3 Cost.). 
    Cio'  considerato,  e'  palese  che  lo  stanziamento  dei  fondi
relativi alle nuove quote di compartecipazione alle entrate  erariali
doveva   necessariamente   essere   accompagnato   dalla   previsione
dell'adeguamento del livello delle spese che possono essere impegnate
e dei pagamenti che  possono  essere  liquidati  dall'Amministrazione
regionale, dato che, nella (pur contestabile, si ripete)  prospettiva
assunta dallo Stato quanto alle modalita' di  entrata  a  regime  del
nuovo sistema di compartecipazione, tale previsione legislativa era -
appunto - necessaria. 
    In mancanza di tale adeguamento, invero, la ragione stessa  della
novellazione dell'art. 8 dello Statuto viene  tradita,  perche'  essa
non era certo preordinata ad apprestare arbitrariamente alla  Regione
una maggiore disponibilita' di somme di danaro, bensi' ad  assicurare
una piu' compiuta capacita' di esercitare le funzioni di competenza e
di soddisfare i diritti dei  cittadini  sardi.  Non  serve  a  nulla,
dunque, alla Regione, avere la disponibilita' di maggiori  somme,  se
queste non possono essere spese. 
    1.1)  A  questo  proposito,  va  subito  dissipato  un  possibile
equivoco. E' cosa nota, e lo si  e'  anche  rammentato  in  narrativa
citando l'art. 32 della l. n. 183 del 2011,  che  il  meccanismo  del
patto di stabilita' interno pone alle Regioni e agli Enti  locali  un
limite ulteriore rispetto al semplice vincolo di  bilancio,  fissando
un tetto massimo sia al  livello  massimo  delle  spese  che  possono
essere impegnate, sia al livello massimo dei  pagamenti  che  possono
essere liquidati da parte dell'Amministrazione  interessata.  Orbene,
la ricorrente non intende in alcun modo sottrarsi a questo meccanismo
di governo dell'economia pubblica, che opera direttamente  attraverso
una limitazione della spesa. 
    Purtuttavia si deve segnalare che per le altre Regioni  (anche  a
statuto ordinario) l'ulteriore  «strozzatura»  della  spesa  pubblica
determinata  dal  patto  di  stabilita'  si  innesta  su  un   quadro
fisiologico della finanza regionale, sia  pel  profilo  dei  rapporti
economico-finanziari tra Stato  e  Regione,  sia  pel  profilo  della
corrispondenza tra le risorse disponibili e le  necessita'  di  spesa
dell'Ente connesse alle funzioni novellamente conferite. 
    Per la Regione Sardegna, invece, come si e' gia' detto, il  patto
di stabilita' interno incide in una situazione di  finanza  regionale
che risulta essere  patologica  per  esplicito  riconoscimento  dello
stesso  Stato.  In  altri  termini:  non   solo   le   entrate   sono
insufficienti a far fronte al fabbisogno di spesa,  ma  la  spesa  e'
ulteriormente ridotta a causa dei vincoli del  patto  di  stabilita',
con un effetto esponenziale sconosciuto alle altre Regioni. 
    Mentre per le altre  Regioni,  dunque,  il  patto  di  stabilita'
interno puo' rappresentare uno strumento ragionevole  e  coerente  di
coordinamento della finanza pubblica, per la Regione Sardegna la  sua
applicazione in difetto della piena esecuzione del nuovo art. 8 dello
Statuto  si   rivela   irragionevole   e   violativa   dell'autonomia
finanziaria regionale. 
    1.2) Per tutte le anzidette  ragioni,  non  avendo  previsto,  al
momento di inserire gli stanziamenti in  oggetto  nel  bilancio,  gli
strumenti per l'aumento del livello delle spese e dei  pagamenti  che
possono essere, effettuati dalla  Regione  Sardegna,  il  legislatore
statale e' palesemente incorso nei vizi  indicati  nell'epigrafe  del
presente motivo. 
    E' di immediato apprezzamento, anzitutto, la violazione dell'art.
8 dello Statuto. Proprio nel momento in cui lo Stato stanzia le somme
necessarie a liquidare alla Regione  le  quote  di  compartecipazione
fissate dalla disposizione in  esame,  ne  preclude  ulteriormente  e
senza alcuna ragione l'utilizzo,  cosi'  rendendo  di  fatto  inutili
detti stanziamenti e procrastinando  ancora  la  completa  ed  esatta
applicazione  della  novella  statutaria,  anche  in  violazione  del
consolidato principio che i sacrifici finanziari imposti alle Regioni
in limitazione della loro autonomia possono essere  ragionevoli  solo
se (ragionevolmente, appunto) temporanei (cfr., da ultimo,  sent.  n.
142 del 2012), il che, nella specie, non e',  visto  il  pervicace  e
persistente  rifiuto  statale  di  eseguire  quanto  disposto   dalle
previsioni statutarie. 
    Tanto determina anche la  conseguente  violazione  dell'autonomia
finanziaria della  Regione  tutelata  dall'art.  7  dello  Statuto  e
dall'art. 119 Cost., autonomia che impone la garanzia delle capacita'
sia  di  entrata  che  di  spesa  che  derivano  dal   regime   delle
compartecipazioni erariali di cui all'art. 8 dello Statuto. 
    Evidente, poi, e' il vizio di  irragionevolezza  della  legge  in
oggetto, perche' l'impossibilita' di effettivo  impiego  delle  somme
stanziate collide con le finalita' della  legge  medesima,  le  quali
sono state cosi' ben esplicitate, come si e' detto,  nella  relazione
al d.d.l. governativo e nella discussione parlamentare. 
    L'art. 3 Cost., peraltro, risulta violato anche pel  profilo  del
principio di eguaglianza, poiche',  come  si  e'  visto,  la  Regione
Sardegna risulta essere discriminata nei confronti di tutte le altre,
subendo  la  cristallizzazione  di  limiti  derivanti  dal  patto  di
stabilita' che non  tengono  conto  della  (patologica)  peculiarita'
della sua situazione finanziaria. 
    Lampanti,  infine,  sono  le  violazioni  degli  altri  parametri
costituzionali (art. 117) e statutari (artt. 3, 4 e 5) gia' indicati,
per il semplice motivo che le somme in oggetto - lo si deve  ribadire
- sono tutte  preordinate  allo  svolgimento  di  funzioni  pubbliche
riconosciute come essenziali per la comunita' regionale dallo  stesso
Stato. 
    2.- Violazione dell'art. 81 della Costituzione, in relazione agli
artt. artt. 3, 4, 5, 7 e 8 della 1. cost.  n.  3  del  1948,  recante
«Statuto speciale per la Sardegna», degli artt. 2, 3, 5,  117  e  119
della  Costituzione.  Violato   e',   altresi',   il   principio   di
corrispondenza fra le entrate e le spese del bilancio  regionale,  di
cui all'art. 81, comma  4,  della  Costituzione  (nella  formulazione
applicabile ratione temporis). 
    E' cosa nota che le politiche di bilancio  devono  rispettare  il
principio di parita' di entrata e di spesa. Tale principio  e'  stato
ribadito  da  codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale  proprio   nello
scrutinare un conflitto in tema di rapporti economico-finanziari  tra
le parti del presente giudizio. 
    Ci si riferisce, in particolare, alla decisiva sent. n.  118  del
2012. In quel caso, la Regione Sardegna aveva impugnato la  Nota  del
Ministero  dell'economia  e   delle   finanze,   Dipartimento   della
Ragioneria generale dello Stato, 7 giugno 2011, n. 50971,  avente  ad
oggetto: «Patto di stabilita' interno per l'anno  2011.  Proposta  di
accordo per la Regione Sardegna».  Con  quell'atto  l'Amministrazione
statale aveva rigettato la proposta di patto  di  stabilita'  per  il
2011 ritualmente formulata dalla Regione ai sensi della legge vigente
(art. 1, comma 132, della l. n. 220 del 2010) con cui si chiedeva  un
innalzamento del livello delle spese e  dei  pagamenti  assentiti  in
ragione delle maggiori entrate previste dal riformato  art.  8  dello
Statuto. 
    Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato, con cristallina
chiarezza, che  e'  «di  palmare  evidenza  che  [...]  il  principio
inderogabile dell'equilibrio  in  sede  preventiva  del  bilancio  di
competenza comporta che  non  possono  rimanere  indipendenti  e  non
coordinati,  nel  suo  ambito,  i  profili  della  spesa   e   quelli
dell'entrata». E' stato cosi stabilito, in  modo  inequivocabile  che
non solo sul piano logico (il che  e'  addirittura  autoevidente)  ma
anche  su  quello  giuridico  esiste  e  deve  essere  rispettato  un
principio di corrispondenza fra livello delle entrate e livello delle
spese. 
    2.1) Tale principio, e' palese, deve essere rispettato anche  nel
dominio del patto di stabilita'. Anche in questo  caso,  infatti,  si
deve anzitutto escludere  che  il  principio  di  corrispondenza  tra
entrate e spese possa essere di alcun ostacolo al  funzionamento  del
meccanismo  del  patto  di  stabilita'  o  al  raggiungimento   degli
obiettivi di contenimento della spesa pubblica che la  Repubblica  si
propone, anche nel rispetto del quadro economico tracciato in sede di
Unione Europea o di piu' ristretta Unione monetaria. In primo  luogo,
infatti, il principio di parita' fra entrate e uscite  non  impedisce
che la Regione Sardegna possa e debba contribuire agli  obiettivi  di
finanza  pubblica.  Anche  in  questo  caso  e'  cosa  nota  che   la
partecipazione a detti obiettivi avviene generalmente  in  virtu'  di
espliciti  «prelievi»  (pur  confinati  nel  tempo,  pena   la   loro
illegittimita' costituzionale) direttamente fissati  dal  legislatore
statale,  che  la  Regione  deve   tenere   in   conto   al   momento
dell'elaborazione del suo bilancio  (tra  le  tante  disposizioni  in
esame, basti richiamare ancora il comma 3 dell'art. 32  della  1.  n.
183  del  2011,  che  impone  alle  Regioni  a  Statuto  speciale  un
contributo di finanza pubblica pari a € 1.600.000.000,00). 
    In secondo luogo, proprio codesta Ecc.ma Corte costituzionale  ha
inteso precisare,  ancora  nella  sent.  n.  118  del  2012,  che  lo
strumento  del  patto  di  stabilita',  per  non  condurre  ad  esiti
illegittimi  e  irragionevoli,  deve  muoversi  proprio   nell'ambito
definito dal principio di parita' di entrate e uscite di  bilancio  e
dall'obbligo dell'Ente  territoriale  autonomo  di  contribuire  alla
Finanza pubblica: «Il contenuto dell'accordo» che Ministero e Regione
stipulano per fissare i reciproci obblighi di finanza pubblica  «deve
essere compatibile con il  rispetto  degli  obiettivi  del  patto  di
stabilita',  della  cui  salvaguardia  anche  le  Regioni  a  statuto
speciale  devono  farsi  carico  e  contemporaneamente  deve   essere
conforme e congruente con le norme statutarie della  Regione,  ed  in
particolare con l'art. 8 dello statuto modificato - per  effetto  del
meccanismo normativo introdotto dall'art. 54 dello statuto  stesso  -
dall'art. I,  comma  834,  della  legge  27  dicembre  2006,  n.  296
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2007). Quest'ultimo ha  rideterminato
e quantificato le entrate tributarie e la loro misura  di  pertinenza
della Regione autonoma Sardegna». 
    2.2) Per le ragioni anzidette, proprio movendo dalla  prospettiva
che  e'  necessaria  un'intermediazione  legislativa  per  portare  a
compimento il nuovo regime finanziario  previsto  dallo  Statuto,  lo
Stato  aveva  il  preciso  e  inequivocabile  dovere   di   procedere
all'adeguamento del livello delle spese e dei pagamenti della Regione
nel momento in cui nell'assestamento del  bilancio  ha  tenuto  conto
(seppure con  un  gravissimo  ritardo)  della  necessaria  esecuzione
dell'art. 8 dello Statuto. 
    Non avendo operato in tal senso Io Stato  ha  certamente  violato
l'indicato principio di parita' tra le entrate e le uscite regionali,
di cui all'art. 81, comma 4, della Costituzione. 
    La violazione dell'art. 81 Cost., pero',  ridonda  immediatamente
nella violazione delle attribuzioni costituzionali e statutarie della
ricorrente. 
    In particolare, e' nuovamente violato  l'art.  8  dello  Statuto,
perche', come si e' gia' detto, la disponibilita'  in  entrata  delle
risorse  finanziarie  «rideterminate»  e  «quantificate»   in   detta
disposizione (per usare gli stessi, puntuali,  termini  impiegati  da
codesta Ecc.ma Corte costituzionale) a  nulla  vale  se  le  maggiori
somme non possono essere poi concretamente impiegate  attraverso  gli
impegni di spesa e  la  liquidazione  dei  pagamenti  necessari  allo
svolgimento delle funzioni assegnate alla Regione. 
    Di conseguenza, la legge gravata lede, per un ulteriore  profilo,
anche l'autonomia finanziaria della Regione e, pertanto, viola  l'art
7 dello Statuto e l'art. 119 Cost. 
    Similmente, sono novellamente violati anche gli artt. 3,  4  e  5
dello Statuto e 117  Cost.,  perche'  l'impossibilita'  di  effettivo
impiego delle somme stanziate dallo Stato impedisce alla  Regione  di
finanziare le  funzioni  pubbliche  assegnate  dallo  Statuto,  dalla
Costituzione, dalle leggi dello Stato. 
    Tanto, con la conseguenza della violazione  degli  artt.  2  e  3
Cost., perche' i diritti costituzionali dei  cittadini  residenti  in
Sardegna  possono  essere  concretamente  goduti,  in  condizioni  di
parita' con tutti gli altri cittadini italiani, solo  se  la  Regione
puo' svolgere le funzioni pubbliche assegnatele  dalla  Costituzione,
dallo  Statuto  e  dalla  legge  (si  pensi,  in  primo   luogo,   al
finanziamento  del  sistema  sanitario  regionale,  che,   ai   sensi
dell'art. 1, comma 838, della l. n. 296 del 2006, e' completamente  a
carico della Regione). 
    3. Violazione del principio  di  tutela  dell'affidamento  e  del
principio di leale collaborazione di cui agli artt.  5  e  117  Cost.
Infine, la ricorrente  non  puo'  esimersi  dal  lamentare  anche  la
violazione del principio di tutela dell'affidamento e  del  principio
di leale collaborazione. 
    Per quanto concerne il principio di tutela dell'affidamento, esso
puo'  certamente  essere   parametro   del   presente   giudizio   di
costituzionalita', avendo codesta Ecc.ma Corte costituzionale a  piu'
riprese  affermato  che  si  tratta  di  un  principio   fondamentale
dell'ordinamento (cfr., tra le piu' recenti, la sent. n. 78 del 2012,
ove si e' affermato che «la  tutela  dell'affidamento  legittimamente
sorto» e' un «principio  connaturato  allo  Stato  di  diritto»).  In
genere, tale principio presidia le situazioni soggettive individuali,
ma  nulla  preclude  la  sua  invocazione  da  parte   di   un   Ente
territoriale. Ente, che, appunto, faceva doveroso affidamento su cio'
che lo Stato,  movendo  dal  presupposto  che  vi  fosse  bisogno  di
attuazione legislativa, fosse conseguente e provvedesse -  appunto  -
in tal senso, adeguando la  capacita'  di  spesa  della  Regione  nel
momento stesso in cui riconosceva l'adeguamento delle  disponibilita'
in entrata. 
    E' anche doveroso invocare il principio di leale  collaborazione.
La ricorrente non ignora che  la  giurisprudenza  di  codesta  Ecc.ma
Corte costituzionale ha  affermato  che  «l'esercizio  dell'attivita'
legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione» (cosi'  le
sentt. nn. 401 del 2007; 371 e n. 159, 222 del 2008) e che esso viene
in  rilievo  solamente  allorquando  il  legislatore  disciplina   lo
svolgimento di funzioni amministrative rientranti in ambiti materiali
di competenza (anche) della Regione. Purtuttavia (a  prescindere  dal
rilievo che in alcune occasioni tali affermazioni non sembrano essere
state confermate: cfr., ad es., sentt. nn.  437  del  2001,  278  del
2010, ove si e' ricordato che «le  procedure  di  cooperazione  o  di
concertazione  possono  rilevare   ai   fini   dello   scrutinio   di
legittimita' di atti legislativi» quando «l'osservanza  delle  stesse
sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione»  -  e
33 del 2011, in tema di c.d. «collaborazione irrituale»), il concreto
atteggiarsi della vicenda in esame, che e' affatto peculiare, fa  si'
che del principio di leale collaborazione si debba tenere conto anche
in sede di giudizio principale. 
    3.1) In  primo  luogo,  e'  del  tutto  evidente  che  lo  Stato,
attraverso atti posti in essere dall'amministrazione ministeriale (si
fa riferimento sia alle Note della Ragioneria  Generale  dello  Stato
del 2005, in cui si  constatava  il  quadro  negativo  della  finanza
regionale, sia alle Note del 2011 e del 2012, in  cui  la  Ragioneria
generale ammetteva di comprendere «le esigenze di codesta Regione  di
trasfondere sulla propria potenzialita' di spesa la piena  entrata  a
regime del nuovo  ordinamento  finanziario»)  e  attraverso  concrete
determinazioni del legislatore (l'ovvio riferimento  e'  all'art.  1,
comma 834, della 1. n. 296 del  2006),  ha  -  come  si  e'  visto  -
ingenerato il legittimo affidamento  che,  a  partire  dal  2010,  la
ricorrente avesse la piena  disponibilita'  delle  somme  di  cui  al
novellato art. 8 dello Statuto. 
    Il  legislatore,  omettendo  di  predisporre  gli  strumenti  per
adeguare il livello delle spese e dei pagamenti che la  Regione  puo'
impegnare  e  liquidare  proprio  nel  momento  in   cui   le   somme
corrispondenti sono stanziate nel bilancio dello Stato, non solo,  si
ripete, ha violato il legittimo  affidamento  della  Regione,  ma  ha
omesso di fare  quanto  (contrapponendo  -  si  badi!  -  la  propria
prospettiva a quella della Regione) aveva dichiarato fosse necessario
fare, e cioe' di adottare la legge che si  riteneva  richiesta  dalla
procedura di «attuazione» dell'art. 8 dello Statuto. 
    In altri termini: poiche' l'intermediazione legislativa e'  stata
ritenuta necessaria dallo  Stato  in  sede  di  negoziazione  con  la
Regione, l'omessa adozione della conseguente  disciplina  legislativa
ridonda   fatalmente   in   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione, che - a questo punto  -  non  ha  alcun  ostacolo  ad
essere  invocato  in   un   giudizio   principale   di   legittimita'
costituzionale come il presente.